ALLA LUNA di Giacomo Leopardi O graziosa luna, io mi rammento Che, or volge l'anno, sovra questo colle Io venia pien d'angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, nè cangia stile, O mia diletta luna. E pur mi giova La ricordanza, e il noverar l'etate Del mio dolore. Oh come grato occorre Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste, e che l'affanno duri!
GLI ALBERI di Yves Bonnefoy Guardavamo i nostri alberi, era dall’alto della terrazza che ci fu cara, il sole si teneva vicino noi quella volta ancora ma ritirandosi, ospite silenzioso sulla soglia della casa in rovina, che gli lasciavamo immensa, illuminata. Vedi, ti dicevo, fa scivolare sulla pietra disuguale, incomprensibile, dove siamo appoggiati, l’ombra delle nostre spalle confuse, quella dei mandorli vicini e quella dell’alto dei muri che si unisce alle altre, bucata, barca bruciata, prua che va alla deriva come un sovrappiù di sogno o di fumo. Ma laggiù le querce sono immobili, neppure l’ombra si muove, nella luce, sono le rive del tempo che scorre qui dove noi siamo e il suolo è inavvicinabile tanto è rapida la corrente gonfia di speranza della morte. Abbiamo guardato gli alberi un’ora intera. Il sole aspettava tra le pietre poi distese pietosamente verso gli alberi, più giù nel burrone, le nostre ombre che sembravano raggiungerli come allungando le braccia si può toccare, a volte, nella distanza tra due persone un istante del sogno dell’altra, che non ha fine.
SILENTI MASSI Sul quotidiano bianco piano di marmo (dove pure le acque oblique vanno) sempre lì stanno – messe da mani senza più carni – l’anfore memorie di lieti anni; e lì son come dei silenti massi: hanno le cavità aperte uguali a quelle orali dei muti sepolti a l'urne carte di pietrami e carne. G. Nigretti da Derive di pietra 2016
L'IMMUTABILE di Walter de la Mare Ecco le rose della sera, la notte quieta in tenebre sospesa - onde al galoppo volte a costellare di luci vive a fonda collina - e tu immota nel grembo della valle nella tua quieta eterna meraviglia in un sol grave sguardo chiudi tutto quell'incanto di pace e di mistero. La Bellezza celò il tuo corpo nudo, sognò un tempo nei tuoi capelli accesi, amabili e lontane. OMBRA di Walter de la Mare Se ne va pure il Bello della rosa quando sfuma il suo fervido fulgore - si allunga l'onda immobile sospesa nella polvere, scende un tenebrore che quel suo strano segno porta a casa. Le bolle d'acqua effimere dipingono sotto l'esile arco un'ombra evanescente fino all'ultima stella il nembo ardente dell'angolo in cornice fa brillare il suo riflesso pallido e tremante. La più amabile cosa della terra ha un'ombra, una perenne oscura tinta di morte che le infesta ogni respiro... Ma chi potrà mai dire la Bellezza dell'asfodelo dei cieli senz'ombra?
Premio Letterario Nazionale "Andrea Torresano" Gilgamesh Edizioni
AMARE DERIVE di Giuseppe Nigretti
Opera Terza Classificata - Sezione Poesia - Asola 2016
Amare derive
Una poesia matura quella di Nigretti, nulla manca, ha tutti i tratti dei versi consapevoli: ogni dettaglio ha il suo posto, ogni dettaglio ha un perché. La poesia resta reale, tangibile: "che su questa distesa carta è il reale" come già il poeta stesso dice. Dentro questa reale percezione di quello che sta intorno, non mancano le sensazioni, spesso forti, del poeta. Il linguaggio è spesso evocativo, diventa mutevole, si preannuncia quasi come il verso fosse libero, eppure la classicità della tela disegnata dal poeta rimane; la struttura non tradisce se stessa, nei versi cade leggera, senza mai svanire. E' come se questa struttura, cercasse di radicare anche i sentimenti e dare loro una guida, perché chi c'è dentro la poesia non possa perdersi, non possa rimanere scollegato dalla realtà.
Anila Resuli
La giuria Andrea Garbin (poeta), Anila Resuli (poeta), Carla Menaldo (giornalista e scrittrice), Carolina Giorgi (poeta, scrittrice e giornalista), Claudio Fraccari (critico letterario), Dario Bellini (editore), Marco Molinari (poeta), Marco Zucchini (editor), Valeria Raimondi (poeta).
ANDANDO
Quel che
ci resta dell’andare nostro
e del vociare
assolato di confusioni
giocose,
son solo le sgualcite carte
della
lesta stagione: oggi già icone
di
condivisioni, apparse sbiadite
dall’iperico
spazio virtuale
già
sepolto di cosparse occasioni.
Ora senza
stazioni è il chiuso viaggiare: nella eco
d’una
vocale – che su questa distesa carta è il
reale –.
CARE DONNE LONTANE ogni giorno è un perdersi se a raggiungermi albergo su fogli d’intorte parole la notte sfoglia le ore di pagane follie in voi fan colme fantasie come quelle che a incanto di dei svelano per~versi pensieri in carne a curve rime ammaliando parole delizie coniugate dal giardino di grembo lontano ed io di carta declino sulle labbra della notte di colore rosso lembo le sillabe del mattino. G. Nigretti da Derive deserte 1994/01
NON REGALATE AI POETI ALTRE PAROLE di Andrea Bassani Non regalate ai poeti altre parole, non sanno che farsene. I poeti non temono il dolore: li trovi ancora là, nell'ora dell'addio, in un limbo atemporale dove non esiste la morte e non esiste la vita. Non regalate ai poeti il vostro cuore, non vi ameranno: loro vegliano, giorno e notte, la salma assente del corpo amato nella camera ardente del vuoto d'amore. Non cercate di salvare i poeti, non vi seguiranno: non usciranno per voi dall'inferno, perché sognano di poterlo commuovere e per questo riavere dalle fiamme tutto quello che gli è stato negato
SABBIA di Luis Aguilera Passa l'ultimo amore verso un'età proibita. Nessuno esce a riceverlo, a rallegrarsene, a festeggiarlo. Come la foglia staccatasi dall'albero non interrompe la sua luce: narra un'altra stagione o la proscrive. Sedicente, matura nella lentezza lo splendore che lo scopre. Sopra la prima linea delle labbra baci di sabbia che rimangono per udire il mare quando si allontana.
NOTTE STELLATA di Anne Sexton Questo non mi impedisce di avere un terribile bisogno di - devo dire questa parola? - religione. Allora esco di notte a dipingere le stelle. Vincent Van Gogh in una lettera al fratello La città non esiste se non dove un albero dai capelli neri scivola via, come una donna annegata nel cielo caldo. Tace, la città. Bolle la notte, con dieci e una stella. Oh notte stellata, stellata notte! È così che voglio morire. Si muove. Sono tutti quanti vivi. Quando la luna rompe le catene arancioni che la legano e spruzza bambini dai suoi occhi, come un dio, il vecchio serpente, senza esser visto divora le stelle. Oh stellata notte, notte stellata! È così che voglio morire: in questa strisciante bestia notturna, risucchiata tutta dentro nel grande drago, separata dalla mia vita senza una bandiera, senza pancia né grido.
AMLETO, Shakespeare Atto III, scena I Essere, o non essere… questo è il nodo: se sia più nobil animo sopportar le fiondate e le frecciate d’una sorte oltraggiosa, o armarsi contro un mare di sciagure, e contrastandole finir con esse. Morire… addormentarsi: nulla più. E con un sonno dirsi di por fine alle doglie del cuore e ai mille mali che da natura eredita la carne. Questa è la conclusione che dovremmo augurarci a mani giunte. Morir… dormire, e poi sognare, forse… Già, ma qui si dismaga l’intelletto: perché dentro quel sonno della morte quali sogni ci possono venire, quando ci fossimo scrollati via da questo nostro fastidioso involucro? Ecco il pensiero che deve arrestarci. Ecco il dubbio che fa così longevo il nostro vivere in tal miseria. Se no, chi s’indurrebbe a sopportare le frustate e i malanni della vita, le angherie dei tiranni, il borioso linguaggio dei superbi, le pene dell’amore disprezzato, le remore nell’applicar le leggi, l’arroganza dei pubblici poteri, gli oltraggi fatti dagli immeritevoli al merito paziente, quand’uno, di sua mano, d’un solo colpo potrebbe firmar subito alla vita la quietanza, sul filo d’un pugnale? E chi vorrebbe trascinarsi dietro questi fardelli, e gemere e sudare sotto il peso d’un’esistenza grama, se il timore di un “che” dopo la morte - quella regione oscura, inesplorata, dai cui confini non v’è viaggiatore che ritorni - non intrigasse tanto la volontà, da indurci a sopportare quei mali che già abbiamo, piuttosto che a volar, nell’aldilà, incontro ad altri mali sconosciuti? Ed è così che la nostra coscienza ci fa vili; è così che si scolora al pallido riflesso del pensiero il nativo colore del coraggio, ed alte imprese e di grande momento, a cagione di questo, si disviano e perdono anche il nome dell’azione. (Vede Ofelia) Ma zitto, adesso!… La leggiadra Ofelia! Ninfa, nelle tue preci rammemoràti siano i miei peccati. OFELIA - Mio buon signore, come s’è sentito vostro onore, durante questi giorni? AMLETO - Oh, bene, bene, bene, umili grazie! OFELIA - Signore, ho qui con me vostri ricordi che da tempo volevo ritornarvi. Vi prego, riprendeteli. AMLETO - Non io. Non v’ho dato mai niente.