domenica 31 dicembre 2017

senza maceria


CANZONE di Maria Grazia Calandrone

Canto perché ritorni
quando canto
canto perché attraversi tutti i giorni
miglia di solitudine
per asciugarmi il pianto.

Ma ho vergogna di chiederti tanto
e smetto il canto.

Canto e sono leggero 
come un fiore di tiglio
canto e siedo davvero
dove mi meraviglio:

all’inizio del mondo

c’è l’ombra bianca delle prime rose
che non sono più amare
perché canto e ti vedo tornare
come tornano a riva le cose:
senza passato,
con il petto lavato
dal mare.

Ecco!,

sali le scale come un ragazzino
che scrolla dalle ciglia una corona di sale,
dà due beccate d’indice
alla porta, s’inginocchia
in fretta, in fretta
dice: “Vieni!,
ti porto al mare” e mi sorride, dalla sua statura
di nevischio e di rose, dalla sua garza d’anima salvata
dalle piccole cose.

Dalla sua bocca bianca ride il mondo
e ridono le cose
trasparenti del cielo
se, girandosi appena
per pudore, dice: “Lo vedi, non ho più paura”

come parlando a un’ombra evaporata
nell’innocenza

calma delle ginestre, a un fiatare di rose
andato via per le finestre
aperte
fino alle fondamenta.

Così mi lasci nell’aperto privo
di peso. E allora canto
lo stare seduti
nel vivo, tutto l’amore privo,
che non smetta

la presenza perfetta
di chi non pesa

ma è senza volontà, senza maceria, senza l’avvenimento
della materia

è solo polvere che tende alla luce.

lunedì 25 dicembre 2017

scritta nebbia


QUADRETTO DI NATALE

Ed anche quest’anno discende
sovrana morbida – di vanagloria 
le strade della notte spoglia 
             e le fatue luci alle case affonda 
                        e dallo spurio amore 
l’aria a colline stanche scioglie 
                 e nel buio le adunche stanze 
         già spente di quiete e voce
da quel nome distoglie 
che al di là di mute memorie
                    ombra d’anima qui rinasce 
e questa scritta nebbia mai dissolve.

G. Nigretti da Derive urbane 2012/13

venerdì 15 dicembre 2017

muto tempo


IN VOLO

da questa memoria di aria
sempre con occhi riappare e
in afra nebbia scende lenta e
in muto tempo frana la mente 
già ferita da ferme ore morte
che di vuoto colme stanno

sul bordo di questa curva vita
ombre brune spingono anni
distanti – da sementi a sciame 
lasciate ai piedi ameni
di menadi danzanti

lungo la notte nulla 
a buio volo di luna 
una sirena che urla
rimbomba domestici camposanti.

G. Nigretti da Derive quiete 2010/11

giovedì 14 dicembre 2017

semenze piovute


da LASCIAMI, NON TRATTENERMI di M. Luzi

Lui solo in quella solitaria casa

coabitava con lui,

                                lo seguitava

dovunque e in ogni istante,

                                               gli teneva

non indesiderata compagnia,

ossessiva tuttavia, fisso, il pensiero della morte.

Lui solo ma in lui quante esistenze

sue ed altrui, semenze

piovute chissà quando

nella tumultuaria lontananza

del tempo e dello spazio

popolavano quelle vuote stanze –

se non che signora

                                  occulta

del luogo era memoria,

memoria di memoria

fino alla prealba della mente

e della materia –

e lui? Lui chi veramente era?