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mercoledì 11 settembre 2019

birre


Risultati immagini per dolle

L’ICONICA BELLEZZA

è una bionda birra che spumeggia
sullo scabro del vivente malfermo
in pieno sbando per la ferma icona:
che di notte si abbatte sulle carte – e
la mano come il latte dell’albore
borbotta sul bianco dense parole – e
la cosa sempre bella è che ride

dal vetro di baldo malto lontano
bevendo al gran boccale nella mano.

G. Nigretti da Derive della mano, 2019


Vedo dal titolo dell'oggetto: birre, e capisco che ci sono birre e birre. Quelle ordinarie di tutti i giorni e quelle funzionali a rappresentare una metafora. Che la birra sia molto cantata dai poeti è un fatto noto, (come il vino del resto), ma le due bevande hanno molte differenze, sia per i contesti, sia per le ricadute (emotive, psicologiche) sui soggetti coinvolti.
La birra - per il suo gusto, per come si presenta e la si beve - (Bukowski la definisce "amante continua") ha suscitato l'interesse dei poeti Simbolisti, di Rilke, Eliot, Dylan Thomas, solo per citarne alcuni. Anne Sexton dice: Dio ha una voce bionda, morbida e piena come la birra.
Qui, la bionda birra (con allitterazione della B, che va a caricare l'effetto che produce) SPUMEGGIA. Verbo fonosimbolico, che assume forza espressiva e vitale, oltre che valore estetico, in quanto presenta una cosa bella e seducente. Ciò produce sul vivente malfermo (di cui cogliamo una forma "scabra", e lo sappiamo in pieno sbando) uno stordimento, uno spiazzamento. 
L'icona è ferma. L'opposizione ferma/malfermo rende bene una situazione dissimmetrica tra la stabile icona e il vivente, che è vacillante. La ferma icona, nella notte, si abbatte (= arriva con la forza di un uragano) sulle carte, cioè sulle pagine su cui scrivere poesia, quella che permetterebbe al poeta di vivere almeno una parvenza di vita e "di sciogliere il canto del suo abbandono" (Ungaretti).
La sua mano è lattea come il bianco mattino (bianco è anche il colore dell'assenza) e bor-botta, (vivace fonosimbolismo), cioè arriva solo a borbottare, incapace di articolare su quel bianco foglio le "dense parole" che vorrebbe.
Ma l'immagine (l'iconica bellezza), che il poeta ha davanti, altera e superba, chiusa in sé, sorride al poeta, attraverso il vetro, bevendo dal gran boccale. Lui la vede solo riflessa: è un gioco di sguardi, riflessi da un vetro? Gioco di apparenze; un ritrarsi, un nascondersi? Lei marca la sua distanza? È intenzionata a farlo soffrire? Che ci siano elementi di sofferenza è evidente da: malfermo, pieno sbando, si abbatte, borbotta... Lei è "lontana" (baldo malto lontano).
Concludo la parafrasi così: al poeta mancano le parole per esprimere ciò che prova verso quell'iconica bellezza, che lo ha irretito (il suo seducente spumeggiare) e sbatte le ali sul foglio dove vorrebbe cantare/poetare riuscendo a vergare solo pochi e disarticolati segni. Lei resta impassibile e sorniona: "ride" e lo guarda attraverso il vetro del bicchiere.
Dylan Thomas, il visionario e maledetto poeta gallese, raccontando a un'amica alcuni momenti della sua vita, ricordava quando andava nelle Uplands vicino casa ed entrava in taverna a bere "una, forse due pinte di birra".
La prima frase del poeta suona così: I liked the taste of beer... Amavo il gusto della birra, la sua schiuma bianca, la sua profonda brillantezza ramata, il mondo che sorgeva attraverso le pareti brune e umide del vetro...
 Ornella Cazzador


giovedì 2 maggio 2019

molle stella


C’ERA UNA VOLTA

Questa carta nuda è la pelle tua
o Dolle! musa già di carne muta – 
che da gemme la mano rigenera
eguale a molle stella la immagina
quando il sole si assonna sulla sera 
e il mare canta su scogliere chiare
fra onde ricolme di miele a fontane:

c’era una volta una voce di opale
che lì si disciolse in carne di sale.

G. Nigretti da Derive in carne, 2019

martedì 19 marzo 2019

alla tua coppa


CON QUEL CUORE CHE BASTA  di A. Zanzotto

E questo, se si vuole, posso aggiungere:
- La dove il fiume è un altro
e già corre il mare vicino ai tuoi seni,
e si scioglie la rete la pescagione il mondo,
con te fra le erbe
abbondanti non munte giacevo.
Amore d'erba non più fondo che I'erba,
lattice lucente, clorofilla.
Vampa aurea di fiammifero
cui volgere le spalle senza tema
come al vento ed al mare. Ma ora
ora anche il vero amore
tarda talvolta a farmi vivo. Si lasci che io dica «io.»
Quanto è difficile: io.
Ora: «io-sono» è questa emorragia...
.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .
Ti prego, fammi un segno, lasciati
scorgere: tu tenera come onda,
rutila pescagione, rete, foce,
solco di mare, succo.
Perché posso giurarlo, posso
a fatica scavarlo, ma scavarlo
da me, questo che oggi non vuole
dirsi: con te, io ero.
.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .
Energia divenivo,
statura anima attenzione
degna di misurarsi ai cieli.
Notti di resine, di corpi felici.
Cieli vigna abbondante, non munta, profumo.
Bevevo alla tua coppa, Urania.

Corpi sommi.Vi vedevo scorrere 
veloci oltre il campo del vedere.
Scorrevi mare, notte, fresca mirra.
Posso giurarlo: io ero.
Senza nulla disperdere, nulla
offuscare, nulla ferire. Senza
ρiύ, ma con solo quel cuore che basta.

Beveva il mare; suggeva ai tuoi seni. 

venerdì 27 aprile 2018

sguardi


DI SGUARDI

Navigando l’antico naufragare
su nuvolette di letti in affitto o
nel vuoto poemetto – di parole
gli echi spandono le remote icone

da fogli vecchi bruciati d’argento
legioni di morgane diramano
gli sguardi sempre persi negli specchi

già convessi gli occhi ardono
e nello sfoco cade l’adunco
cogliersi del sé da solo.

G. Nigretti da Derive deserte 1994/2001

sabato 24 dicembre 2016

sogno


SOGNO di G. B. Marino

In sogno ancora (Amor, che puoi più farmi?)

gioco mi fai del tuo spietato impero.
Ecco colei, che già mi sparve, apparmi
in dolce atto vezzoso e lusinghiero.

Com’esser può che possa il sonno darmi

quel che ’n vigilia poi mi nega il vero?
Che mi conceda or tu quelche mostrarmi
non ardì mai l’adulator pensiero?

Ma se ben erro ed insensibil giaccio,

quanti oggetti più cari il senso formi
non vaglion l’ombra del’error ch’abbraccio.

Ahi, ben vegg’io che mentre in grembo a tormi

viene il riposo ed io gli dormo in braccio,
vegghia il mio incendio, e tu crudel non dormi.

giovedì 15 dicembre 2016

di mente







DI FRONTE

sta – ferma lì, senza fine eguale

a un fiore di pietra – nell’incolto
presente un’assenza che da sempre
non so mai se di fronte sorgiva
sia di reale ombra o di mente
uscita parvenza, che su carta
già fioriva – senz’alito di vita

su nebulo fondo il guardo si posa:

come bianco velo senza la sposa.

G. Nigretti da Derive di scorie 2016


giovedì 18 agosto 2016

prode pure

INVOLO

Per amare derive a prode pure

parole involo, ed anche per maree
d’affranto: perchè – da scorie sture
alla Dolle un dì lemma d’incanto
qui rifiorirà. Nel vento d'arselle
da chiaro volo è ora il guardare
verso l'assolo di spalle passare

l'essere gabbiano in volo regale

e tu a menar mano all'ala carnale.

G. Nigretti da Derive maree 2016

lunedì 8 agosto 2016

stelle fallite


MES PETITES AMOUREUSES  di Arthur Rimbaud

Un hydrolat lacrymal lave
     Les cieux vert-chou :
Sous l'arbre tendronnier qui bave,
     Vos caoutchoucs

Blancs de lunes particulières
     Aux pialats ronds,
Entrechoquez vos genouillères
     Mes laiderons !

Nous nous aimions à cette époque,
     Bleu laideron !
On mangeait des oeufs à la coque
     Et du mouron !

Un soir, tu me sacras poète
     Blond laideron :
Descends ici, que je te fouette
     En mon giron;

J'ai dégueulé ta bandoline,
     Noir laideron ;
Tu couperais ma mandoline
     Au fil du front.

Pouah ! mes salives desséchées,
     Roux laideron
Infectent encor les tranchées
     De ton sein rond !

Ô mes petites amoureuses,
     Que je vous hais !
Plaquez de fouffes douloureuses
     Vos tétons laids !

Piétinez mes vieilles terrines
     De sentiments;
Hop donc ! Soyez-moi ballerines
     Pour un moment !

Vos omoplates se déboîtent,
     Ô mes amours !
Une étoile à vos reins qui boitent,
     Tournez vos tours !

Et c'est pourtant pour ces éclanches
     Que j'ai rimé !
Je voudrais vous casser les hanches
     D'avoir aimé !

Fade amas d'étoiles ratées,
     Comblez les coins !
− Vous crèverez en Dieu, bâtées
     D'ignobles soins !

Sous les lunes particulières
     Aux pialats ronds,
Entrechoquez vos genouillères,
     Mes laiderons.


LE MIE PICCOLE INNAMORATE

Un idrolato lacrimale lava
i cieli verde-cavolo:
sotto l'albero gemmato che sbava,
i vostri caucciù.

Bianche di lune particolari
dalle eminenze tonde,
cozzate le vostre ginocchiere!
mie bruttone!

Ci amavamo a quei tempi,
bruttona blu!
mangiavamo uova alla coque
e mangime!

Una sera mi consacrasti poeta,
bruttona bionda:
vieni giù qua, che ti frusti
sul mio grembo;

Ho vomitato la tua brillantina,
bruttona nera;
tu taglieresti il mio mandolino
al filo della fronte.

Puah! le mie salive disseccate,
bruttona rossa,
infettano ancora le trincee
del tuo seno tondo!

Oh mie piccole innamorate,
quanto vi odio!
prendete a pugni dolorosi
i vostri laidi tettoni!

Calpestate le mie vecchie terrine
di sentimento;
- Hop là! siatemi ballerine
per un momento!...

Le vostre scapole si dislocano,
Oh amori miei!
una stella alle vostre reni che traballano.
Ballate i vostri girotondi!

E tuttavia è per costate simili
che io ho rimato!
Vorrei spezzarvi i fianchi
per aver amato!

Ammasso insulso di stelle fallite,
riempite gli angoli!
- Creperete in Dio, sotto il basto
di ignobili cure!

Sotto le lune particolari
dalle eminenze tonde,
cozzate le vostre ginocchiere,
mie bruttone! 

martedì 18 agosto 2015

sempre

SEMPRE EGUALE

nell’eremo calare delle soglie
l’imago anima che ogni dì colma
l’opaco sguardo – sempre un boccale
mantiene in mano –: come di lacrime
sull’acque morte un dovunque di salme
muto sciama dall’inane pianale
colmo di orme vuote senza più porte

dove lì Dolle D. informe entra reale
sempre vitrea musa di parole vane.

G. Nigretti da Derive di carta 2015

mercoledì 30 aprile 2014

4 parole e carne


IV  LE DUE

Della Dolle D. l’altre m’han detto
Di quand’ella queste sul web lesse
Ed uguale ad un’antefissa permase
La notturna vanessa, tutta turbata da
Come quel che ero fosse ora in basso
Fondo caduto: di sensi parole e carne
– “con quelle due amanuensi puttane“–.

Ma Dolle D. dalle poesiole si fa sempre abbindolare:
Le due donne? son solo un’estetista e una sciampista.

G. Nigretti da Derive quotidiane 2013/14

martedì 29 aprile 2014

3 cima sfiora

III  LA SECONDA
 
Non da meno di voce compiace
E nel vano è, con nirvana mano
Procace uguale – a vestale indiana –
Che a madidi palmi cima sfiora:
E lo fa tutto prima spumeggiare
E d’essenze essenziali poi venire
Infinito puntiglio di riprincipiare.

Il di lei nome che accennar non voglio
È d’ebbrezza aerea che si fece cortezza.

lunedì 28 aprile 2014

2 un sospiro

II  FRA LE DUE

Quella che-mi-fa in poco d’ora
Ed ha il vello bello liscio e tutta
La dervìscia mano di foco tatuata
È la mora: – geisha un po’ crudele
Quando il nudo percepito del mio
Guardo, di oli e calde cere deflora
Da tutto quel macello appesantito.

Ed è di voce e nome soave da sembrare
Un sospiro in volo d’uccello fuoruscito.

G. Nigretti da Derive quotidiane 2013/14

sabato 26 aprile 2014

1 colle mani

 
I  QUELLE DUE

Ora che assiso o steso, con un palpito
Di palmo, mano dita o altro, nel vano
Dell’ozioso divano o dell’indolente
Lettino – e senza neppure amarmi
Ci son solo quelle due a palparmi:
Su appuntamento e dietro compenso
Delle occasionali prestazioni manuali

In libertà esercitate; quelle che di mane o
sera in gratùito privato son da voi praticate.

G. Nigretti da Derive quotidiane 2013/14

domenica 19 gennaio 2014

della pelle


DELLA MIA

A Dolle della pelle mia
Quella ché sempre dura
su coricata pelle sua
Tutta quanta la disturba
Quando di antica peluria
fruscia O di piuma di rasoio
La struscia: è questa barba

Che non-so-più se è quella propria
Della faccia mia O della mia nòia.

G. Nigretti da Derive quotidiane 2013/14

domenica 24 novembre 2013

sotto il vuoto


E POI VANNO

E adunche girano intorno
E sembrano anche vibrare
Accanite – verso il foglio e
la mano – e poi vanno
Dell’ombra senza essenza
Sotto il vuoto divano:
Le falene nella sera inseguite.

Inutilmente son quelle ancora
Che luce a Dolle mendicavano.

G. Nigretti da Derive quotidiane 2013

sabato 19 ottobre 2013

purpureo


PER UN GIORNO ANCORA
 
Due euro a piccole mani d’oriente
e sprizzo purpureo infiamma
d’attimi un buio pesto.

Spire rovisto
fra lingue d’opale sbavano
ferali sirene a gesto nuziale.

Spire aspiro in cavità labiali
sillabo memorie scavo fondali
traboccano frastuoni e frammenti
per un giorno ancora remo pensieri

nel trasparente eremo una stella punge
la scrittura del vivere nella notte del giorno.

Dove non camminiamo è ancora volare.

G. Nigretti da Derive eretiche 2009

giovedì 26 settembre 2013

a Dolle Durbanš

POESIA di Jürgen Theobaldy da Lividi

Mi piacerebbe scrivere una poesia breve
di quattro cinque righe
non di più
una poesia molto semplice
che dica tutto di noi due
senza nulla tradire
di te di me